Covid-19: precisazioni importanti del garante della Privacy sui dati della vaccinazione nel contesto lavorativo

Il garante della Privacy chiarisce sul trattamento dei dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo.

Mi giungono segnalazioni da tutta Italia di lavoratori sottoposti a pressioni indicibili che arrivano fino a minacce di licenziamento in caso di rifiuto, per costringerli a sottoporsi alla vaccinazione contro il Covid. Questo nonostante sia acclarato che la vaccinazione protegge solo dalla forma grave dalla malattia ma non dall’infezione e pertanto chi è vaccinato può comunque contagiare.

Mi indigna la facilità con la quale, in nome della pandemia, continuano ad essere sistematicamente violati i diritti costituzionali di tutti noi.

In Italia il diritto alla libertà di scelta sulle cure è garantito dalla Costituzione. Nessuno può obbligarci alla vaccinazione, a meno di una legge specifica approvata dal Parlamento per ragioni scientificamente inoppugnabili, che al momento non c’è. Inoltre, allo stato attuale è certamente fatto divieto per chiunque che non sia il medico competente, di manipolare i dati sanitari di cittadini e lavoratori.

Il Garante della privacy è stato chiaro. Riporto di seguito le faq sul “Trattamento di dati relativi alla vaccinazione anti Covid-19 nel contesto lavorativo”

garante della privacy1. Il datore di lavoro può chiedere conferma ai propri dipendenti dell’avvenuta vaccinazione?

NO. Il datore di lavoro non può chiedere ai propri dipendenti di fornire informazioni sul proprio stato vaccinale o copia di documenti che comprovino l‘avvenuta vaccinazione anti Covid-19. Ciò non è consentito dalle disposizioni dell’emergenza e dalla disciplina in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Il datore di lavoro non può considerare lecito il trattamento dei dati relativi alla vaccinazione sulla base del consenso dei dipendenti. Il consenso non costituisce in tal caso una valida condizione di liceità in ragione dello squilibrio del rapporto tra titolare e interessato nel contesto lavorativo (considerando 43 del Regolamento).

2. Il datore di lavoro può chiedere al medico competente i nominativi dei dipendenti vaccinati?

NO. Il medico competente non può comunicare al datore di lavoro i nominativi dei dipendenti vaccinati. Solo il medico competente può infatti trattare i dati sanitari dei lavoratori. Tra questi, se del caso, rientrano le informazioni relative alla vaccinazione, nell’ambito della sorveglianza sanitaria e in sede di verifica dell’idoneità alla mansione specifica (artt. 25, 39, comma 5, e 41, comma 4, d.lgs. n. 81/2008).

Il datore di lavoro può invece acquisire, in base al quadro normativo vigente, i soli giudizi di idoneità alla mansione specifica e le eventuali prescrizioni e/o limitazioni in essi riportati (es. art. 18 comma 1, lett. c), g) e bb) d.lgs. n. 81/2008).

3. La vaccinazione anti covid-19 dei dipendenti può essere richiesta come condizione per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di determinate mansioni (ad es. in ambito sanitario)?

Nell’attesa di un intervento del legislatore nazionale che, nel quadro della situazione epidemiologica in atto e sulla base delle evidenze scientifiche, valuti se porre la vaccinazione anti Covid-19 come requisito per lo svolgimento di determinate professioni, attività lavorative e mansioni, allo stato, nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come nel contesto sanitario che comporta livelli di rischio elevati per i lavoratori e per i pazienti, trovano applicazione le “misure speciali di protezione” previste per taluni ambienti lavorativi (art. 279 nell’ambito del Titolo X del d.lgs. n. 81/2008).

In tale quadro solo il medico competente, nella sua funzione di raccordo tra il sistema sanitario nazionale/locale e lo specifico contesto lavorativo e nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie anche in merito all’efficacia e all’affidabilità medico-scientifica del vaccino, può trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica.

Il datore di lavoro dovrà invece limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio di parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore (art. 279, 41 e 42 del d.lgs. n.81/2008).

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