BENIGNI E LE BANALITÁ SULLA COSTITUZIONE di Daniele Trabucco

9 Feb 2023|Libertà e diritti|

L’attore Roberto Benigni, sul palco del teatro Ariston in occasione della serata di apertura del discutibile Festival della canzone italiana, ha elogiato la Costituzione repubblicana vigente: “un’opera d’arte”, “ogni parola sprigiona una forza evocativa e rivoluzionaria”, “é un sogno fabbricato da uomini svegli”. Solo una manifestazione canora banale poteva generare un panegirico banale, semplicistico e di basso profilo. Solo chi vive il sonno della ragione puó accontentarsi di espressioni ovvie, incapaci di cogliere l’ideologia compromissoria ed anfibologica che innverva il Testo fondamentale del 1948 ed, in generale, i Testi costituzionali del secondo dopoguerra. In data 11 marzo 1947, durante i lavori dell’Assemblea Costituente, Benedetto Croce (1866-1952) rilevava come una delle “cagioni per cui l’opera (il Testo costituzionale) non é felicemente riuscita proviene dall’essere stata scritta da piú persone in corso”. Ora, al di lá delle aporie del costituzionalismo moderno (Castellano), su cui il Benigni dovrebbe rivolgere la sua attenzione ed il suo studio, la Costituzione italiana (e non solo) altro non é che un insieme di disposizioni cui dare di volta in volte contenuto attraverso le leggi ordinarie e l’attivitá ermeneutica del giudice delle leggi. In altri termini, il formalismo proprio del kelsenismo costituzionale si confonde con lo schmittismo socio-giuridico per cui il Testo fondamentale garantisce ció che l’identitá collettiva, che l’ha posto ed approvato, é oggi divenuta. Ben lontana dall’essere “un’opera d’arte”, la Costituzione é una fonte di produzione a contenuto normativo variabile che favorisce un ordinamento costituzionale modulare ove l’unico meta-valore assoluto é il continuo bilanciamento di principi ed interessi dovuti alle aggregazioni e agli spostamenti del pluralismo (Zagrebelsky). In questo modo, non é la Costituzione norma per la societá civile, ma é la societá civile norma per la Costituzione (Castellano). La coesistenza di qualunque contenuto nel Testo (ad esempio il diritto all’integritá psico-fisica della madre e il diritto alla vita del concepito) consente l’unico carattere immutabile della Costituzione, ossia la sua liquiditá. Detto diversamente, la conservazione di ogni contenuto comporta l’indifferentismo e cosí il costituzionalismo, anziché garantire un ordine politico, alimenta l’accentuazione dei conflitto in nome della necessitá di una permanente evoluzione nella realizzazione stessa della Costituzione. Quella “Carta” che nacque, lo scriveva magistralmente Gioacchino Volpe (1876-1971), dopo una vittoria di armi straniere, con gli stranieri accampati ancora nel nostro Paese….in un momento patologico della Nazione quando tanti italiani si voltavano di furia, sincera o fittizia, contro tutto quello che, in qualche modo, rappresentava il passato”. Eh sí, caro Benigni, “un’opera d’arte” cui é ora di togliere il velo di Maya.

Daniele Trabucco è docente strutturato di diritto costituzionale. 

 

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