Elevato carico virale. Quali sono le cause di mortalità per COVID-19? Studio sulle autopsie

16 Mag 2022|Covid-19|

Giovanni Meledandri, epidemiologo e patologo, nonchè docente in malattie emergenti all’Università degli Studi Guglielmo Marconi di Roma ha analizzato lo studio pubblicato su Nature il 1 aprile 2022 dal titolo “Elevato carico virale: quali sono le cause di mortalità per COVID-19? Studio sulle autopsie”. Tale studio è stato firmato da 67 studiosi, potrete prendere visione integrale dell’articolo scientifico e scorrere l’elenco completo degli autorevoli firmatari al link di Nature che qui vi segnalo.

Di seguito troverete dunque una sintesi in italiano corredata dai commenti in corsivo del professore Meledandri.

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Il tasso di infezioni in soggetti vaccinati contro SARS-CoV-2 ha assunto dimensioni di seria rilevanza. Lo scopo di questa ricerca è quello di determinare le cause di morte, le alterazioni istologiche all’interno degli organi e la diffusione virale, in funzione di caratteristiche demografiche, cliniche e patologiche, di ogni variante virale, funzionalmente ai tipi di vaccini somministrati, in individui deceduti per infezione da SARS-CoV-2, dopo la vaccinazione, e morti nel periodo compreso tra gennaio e novembre 2021.

Si tratta di uno studio caso controllo e le corti di pazienti e di casi messe a confronto constano di 29 soggetti vaccinati in confronto a 141 controlli non vaccinati. La maggioranza dei pazienti era anziana all’età del decesso e poteva risultare affetta da altre comorbilità al momento del decesso.

La tecnica RT PCR ha identificato un tasso di disseminazione virale all’interno degli organi nei soggetti vaccinati significativamente più elevato rispetto ai soggetti non vaccinati: 45% contro 16% con un livello di significatività P pari a 0.008, quindi molto elevato. Inoltre i soggetti vaccinati hanno mostrato un elevato carico virale tale da risultare riscontrato a valori di Ct (la tecnica per rilevare il carico di particelle virali, più scende sotto 30, più è elevato il carico) inferiori a 10, specialmente nelle vie respiratorie nei polmoni. A questo si accompagnava un elevato tasso di (sovra) infezioni batteriche o micotiche, oltre a neoplasie consumo di farmaci immunosoppressivi diminuzione dei livelli immunoglobuline. Tutti questi riscontri risultano ancor più accentuati nei soggetti parzialmente vaccinati rispetto a coloro completamente vaccinati. La disseminazione virale nei casi di questo studio indica che i pazienti con un sistema immunitario compromesso mostrano una diminuita capacità ad eliminare il virus. È tuttavia opportuno rimarcare che il potenziale ruolo dell’aumento di una immunità anticorpo dipendente deve essere chiarito in studi futuri. In questo studio i casi fatali di COVID-19 sono stati spesso associati a gravi comorbilità o altre condizioni immunosoppressive.

Le più rilevanti e frequenti alterazioni d’organo associate al COVID-19 sono risultate: un diffuso danno alveolare, la endotelite e gli eventi tromboembolici.

In base al numero di casi utilizzati ai fini del presente studio, confrontati tanto con i vaccini quanto con i decessi, per le regioni nelle quali lo studio è stato effettuato, la coorte utilizzata per lo studio risulta rappresentativa, pertanto lo studio è valido e rappresenta l’insieme della popolazione cui si riferisce.

Sulla base della letteratura pubblicata questo studio rappresenta la prima serie sistematica di autopsie su casi fatali di COVID-19 in soggetti vaccinati. La attuale mancanza di studi significativi affidabili e di dati concernenti una simile situazione rende difficile valutare la mortalità per COVID-19 negli individui vaccinati.

Commento esplicativo (i testi esplicativi sono in corsivo)
Il significato di questa affermazione è assai rilevante: per ragioni sconosciute a tutt’oggi non sono disponibili studi confrontabili con il presente ovvero non si sono indagate in modo sistematico le situazioni di decesso in individui vaccinati, parzialmente o totalmente, nei confronti di coloro che invece non sono stati oggetto di somministrazione. Lo studio può essere considerato pertanto pilota: gli autori hanno iniziato valutando la disseminazione virale nel contesto demografico e i dati clinici ai fini di descrivere il corso e il decorso del COVID-19 nei vaccinati.

Nei soggetti parzialmente vaccinati i polmoni sono risultati l’organo maggiormente colpito. La presenza virale è stata documentata con valori C.t. aventi mediana di 21, confermati tramite PCR; la significatività è stata estremamente elevata: R uguale 0,819, P inferiore a 0.0001. Anche il confronto di neoplasie riscontrate nei soggetti vaccinati è significativamente sfavorevole a questi rispetto ai soggetti vaccinati, P uguale 0,005. Il rapporto demografico tra i due sessi è risultato bilanciato. Le tipologie di vaccino prese in considerazione, per i totalmente vaccinati, sono state Pfizer (BionTec) in 11 casi AstraZeneca e Sinovak in uno.

Lo studio prende in considerazione uno degli aspetti ricorrenti nella letteratura contemporanea ovvero quella che è per gli autori anglosassoni viene definita real breakthrough confrontandola con la vaccination failure (v. Introduzione e p. 6).

Commento esplicativo
Si tratta di due concetti, il primo dei quali è a mio parere è un neologismo di senso: real breakthrough rappresenterebbe una “vera svolta”. La “vera svolta” avrebbe significato di dire che il vaccino non è risultato utile nonostante che il soggetto possedesse un elevato titolo di anticorpi circolanti,poichè l’organismo infettante, in questo caso il SARS-CoV-2, si sarebbe presentato con una modalità morfologica, quella che generalmente viene definita variante, tale da non essere riconoscibile e quindi aggredibile dagli anticorpi circolanti prodotti. La seconda dizione (vaccinazione failure) è il fallimento vaccinale per inefficacia. Si tratta di definizioni potenzialmente ingannevoli, accreditate dagli autori citati nello studio e accettati dalla OMS.

L’ingenuità logica ( Introduzione e p.6, prima colonna, righe 5, 6) appare palese: sia che la immunizzazione risulti inefficace per mancanza di anticorpi circolanti o perché gli anticorpi circolanti, eventualmente prodotti, risultassero inutili, non depone comunque a favore del prodotto utilizzato a fini di vaccinazione. La vaccinazione, è noto, deve avere per risultato la protezione sicura, efficace e innocua del soggetto vaccinato, garantendo, in tal modo, un vantaggio rispetto allo status di mancata vaccinazione. Aver somministrato una sostanza che ha prodotto anticorpi inutili, che non ha prodotto anticorpi, o che ha prodotto anticorpi che in ogni caso non servono a proteggere dall’infezione, perché questa non è soggetta a ostacolo attraverso la immunità anticorpo mediata circolante, è sostanzialmente una condizione identica. E’ quindi ingannevole distinguere la inefficacia con i termini di vera svolta oppure di fallimento vaccinale; si tratta comunque sempre di inefficacia.
Riprendiamo ora la lettura del testo.

La discussione testualmente fa notare la mancanza di studi affidabili che consentano di stabilire tramite le autopsie quale sia la situazione infettivologica nei soggetti morti per COVID-19, funzionalmente al loro stato vaccinale.

Si tratta di una ammissione molto candida ma di estrema gravità: per quali ragioni non si sono fatti adeguati studi fino al momento in cui è stato pubblicato questo articolo?

Il seguito della discussione apporta ulteriori elementi in merito alla maggior quantità di particelle virali ritrovate negli organi dei soggetti vaccinati, alle lesioni sia locali che generali che da questo risultano, alle condizioni di compromissione della circolazione, dell’immunità, della coagulazione, dell’integrità degli endoteli, delle reazioni autoimmuni. Tutto contribuisce ad illustrare uno scenario generale dal quale si evince la sostanziale criticità o fragilità della strategia cosiddetta vaccinale impiegata.

Si riferisce nei soggetti vaccinati una sostanziale mancanza di anticorpi anti nucleocapside virale e questa è associata con la disseminazione del virus nell’organismo e in tutti gli organi dei soggetti vaccinati. Nelle ultime righe della discussione un elevato livello di infezione virale risulta essere stato riscontrato nei soggetti più anziani e in condizioni di immunocompromissione e questo risulta maggiormente accentuato nei casi in cui la vaccinazione sia stata non del tutto completata.

Commento esplicativo

La conclusione appena citata sorvola tuttavia su una qualsivoglia definizione di completezza di una vaccinazione che, nel corso di tutto l’articolo, risulta non soltanto priva di efficacia protettiva ma associata con una maggior diffusione dell’infezione e conseguentemente, anche se il rapporto causa effetto non è indagato dall’articolo, con la mortalità per l’infezione medesima o per le concause che a essa seguono. Appare evidente che l’articolo dimostri perplessità e incertezza nei confronti di una strategia di profilassi e che attesti, invece, la notevole potenzialità nociva a essa associata. E’ ipotizzabile che gli autori dello studio, accurato da un punto di vista epidemiologico e patologico, abbiano preferito non assumere una aperta posizione ostile, e si siano affidati al contenuto, al fine di assicurare la pubblicazione dell’articolo medesimo il quale arricchisce la letteratura e le conoscenze sulla fattispecie.

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