La “Città dei 15 minuti”
Ricondivido qui di seguito una riflessione che condivido pubblicata a questo link a firma di Alessio Gasperini, Comitato di cittadini Miracolo a Milano
La “Città dei 15 minuti“, la smart city di “prossimità”, sbarca a Milano e precisamente in Piazzale Loreto. A presentare il progetto in Triennale, il 29 maggio, è Nhood, società di servizi immobiliari vincitrice del bando Reinventing Cities di C40, network globale di sindaci uniti nella lotta al cambiamento climatico. Durante la conferenza, a cui abbiamo partecipato, sono intervenuti Stefano Boeri, Presidente di Triennale Milano, Giancarlo Tancredi, Assessore alla Rigenerazione Urbana del Comune di Milano, Carlo Masseroli, direttore Strategia e Sviluppo di Nhood, Giordana Ferri, Direttore esecutivo della Fondazione Housing Sociale, Helène Chartier, Diterrore della Pianificazione e Progettazione Urbana di C40, e infine Carlos Moreno, urbanista, docente di “Imprenditorialità, Territorio, Innovazione” all’Università Sorbona di Parigi e ideatore del progetto “15 minuti”.
Quello che segue è un breve compendio, una raccolta di passaggi e di spunti, per noi rilevanti, emersi durante la conferenza o distillati da essa, e come tale non ha la pretesa di sintetizzare, interamente, il fenomeno “città intelligenti”, bensì ne approfondirà alcune tematiche a partire da ciò che è stato esposto.
- Una narrazione positiva. Il progetto, presentato come piano di riqualificazione urbana, si offre come soluzione a problemi quotidiani causati dall’odierna conformazione delle città, tra cui il traffico e l’inquinamento. Ciò che colpisce, aldilà del semplice marketing promozionale, è la più volte esplicitata necessità di favorirne l’attuazione attraverso una “narrazione positiva” e persuasiva che lo renda “desiderable” agli occhi del cittadino così come degli stakeholder, volta a celarne le profonde contraddizioni, a simularne la spontaneità e a camuffarne invece la natura impositiva e la premessa di inevitabilità: “A positive narrative for the ecological urban revolution we MUST do“.
- Una rivoluzione globale. Altro che riqualificazione urbana, il progetto “15 minuti” viene a più riprese descritto come una “rivoluzione globale”, una “rivoluzione ecologica urbana”, un “movimento globale” che mira a riscrivere i paradigmi cittadini, politici, economici e antropologici che hanno caratterizzato la città e la società dal secondo dopoguerra ad oggi. Una riforma strutturale che vuole farsi “cultura” e che punta ad una radicale alterazione dei comportamenti e delle abitudini del corpo sociale, definiti “inefficienti” e “non sostenibili” secondo l’odierno ideologema ecologista. Un progetto politico marcatamente top-bottom, calato dall’alto, certamente non democratico né spontaneo: “We wanted to promote, worldwide, this model“.
- La nuova normalità. Un progetto che, a detta dello stesso ideatore, ha acquisito ulteriore carattere di “necessarietà” a seguito della stagione pandemica. Emerge infatti, in quasi tutti gli interventi della conferenza, la continuità e il legame fra il nuovo paradigma urbanistico e le necessità post-covid, dalle misure di sicurezza alle nuove abitudini sviluppate, o imposte, attraverso le restrizioni.
- Il partenariato pubblico-privato. Un elemento pionieristico (“E’ la prima volta che un privato…“) e organicamente centrale del progetto è la commistione pubblico-privato, non solo a livello di ideazione e di programmazione, ma anche di gestione operativa. Una rivoluzione “politica”, come rimarcato da Masseroli, che garantirà alle corporation e alle ONG globali la governance del territorio, sancendo così un’evoluzione della politica come precedentemente e storicamente intesa. Il “pubblico”, da solo, “non può più”, non ha “i soldi”, la “vision” né “le competenze” per gestire i problemi del territorio e per interpretare il futuro, e pare che nemmeno i cittadini e la loro speranza di autodeterminazione e di politiche popolari debbano più avere voce in capitolo.
- 2050: obiettivo emissioni zero. A farla da padrone e a sostenere teoricamente l’inevitabilità e la bontà del progetto, con tanto di ripetute slide di un pianeta sommerso dall’innalzamento delle acque dovuto al riscaldamento globale, è l’agenda “Emissioni zero”. Le metropoli, ed i comportamenti di chi le abita, sono presentate come responsabili di almeno un quarto delle attuali emissioni di CO2, e l’obiettivo dichiarato del progetto “15 minuti” sarà quello di eliminarne sostanzialmente le emissioni entro il 2050. Il tema dell’inquinamento, della sua origine e del suo impatto sulla salute, trova davvero poco spazio all’interno della conferenza, mentre il climate change, lapidario e incontrovertibile vincolo esterno e male universale contro cui unirci tutti, fideisticamente, è la minaccia esistenziale che ci obbliga a ristutturare la società secondo quanto ci viene oggi prescritto.
- La mobilità. L’auto, così come ogni forma di mobilità personale e inquinante, che ha “plasmato la progettazione urbanistica” per almeno 70 anni, dovrà sparire. Quanto è stato preconizzato lascia intendere che nel futuro prossimo, secondo l’agenda vigente, le automobili scompariranno. Lasciando spazio ad un rafforzamento ed estensione dei mezzi pubblici? No, anzi. Anche la mobilità pubblica, anch’essa troppo inquinante, verrà ridotta. L’obiettivo di garantire i servizi al cittadino in una distanza spazio-temporale di 15 minuti a piedi è funzionale al suo immobilismo: non dovrà spostarsi, non dovrà sentirne l’esigenza e forse gli verrà impedito (su questo aspetto, la conferenza non si pronuncia affatto), e ciò sembra configurare, nuovamente in continuità con la precedente stagione pandemica, una ridefinizione autoritaria di quelle che consideriamo libertà di circolazione e di soggiorno.
- La proprietà personale. Dal co-housing allo sharing di ufficio e veicoli, fino a nuovi servizi e spazi urbani privati ma di pubblico usufrutto: la città intelligente dei 15 minuti si prefigge l’obiettivo di rivoluzionare anche il concetto stesso di proprietà personale. Attenzione, non della proprietà privata, dato che quanto è stato descritto può essere comunque iscritto nel perimetro di una privatizzazione della città e dei suoi spazi, ma di quella personale, del singolo cittadino. Come enunciato da Helène Chartier, dal concetto di “proprietà” a quello di “locazione”, una concretizzazione del “non avrete nulla e sarete felici”.
- Diversità e turnover. Chi viene e chi va, in un caleidoscopio di forme e di colori: è questo che tiene viva la nuova città, secondo gli sviluppatori del progetto. Un “turnover” abitativo e lavorativo che formalizza la “precarizzazione” già presente e incentivata, atto a prevenire, aggiungiamo noi, un radicamento sociale. Interessante notare un passaggio, pronunciato da Giordana Ferri, dove si accenna la necessità di superare l’odierna divisione tra la classe borghese dei centri urbani e il proletariato delle periferie, necessità che non ci sembra animata da uno spirito di lotta alle iniquità presenti, bensì da inquadrare nella prospettiva di creazione di un nuova cittadinanza locale ma globale, coesa e al tempo stesso disomogenea, disciplinata dai suddetti paradigmi urbanistici e politici della nuova rivoluzione; l’appiattimento dei 99 e le regole dell’1, diremmo.
- Globale. La dimensione del progetto, come accennato, è quella globale. Non vi è più traccia del ruolo giocato dallo Stato-nazione, non vi è strutturalmente spazio per politiche di autodeterminazione della popolazione e del territorio. La città rinasce come soggetto e come player, si mette in rete con le altre grandi metropoli del mondo, in forme di competizione economica e di sviluppo tecnologico, segue un percorso tracciato ai piani alti della nuova catena alimentare internazionale, e il sindaco, sostenuto e diretto da corporate, ONG e istituti di ricerca, ne diventa l’autorità somma. La campagna è zotica e tradizionalista, il futuro è la macchietta di un cosmopolitismo urbano, il potere è tecnocratico e globale.
- La tecnologia. Nonostante l’importanza di questo paragrafo, il tema “tecnologia” assume il ruolo dell’elefante nella stanza ignorato da tutti, e viene menzionato solo alla fine della conferenza. La tecnologia “che ci risolve i problemi”, come afferma la superstar dell’incontro, Carlos Moreno, che prima di divenire urbanista e cattedratico accenna ad una sua formazione accademica nel mondo hi-tech. Una tecnologia che, a suo dire, si introduce negli equilibri cittadini portando con sè un sistema di sensori capillare, in grado di profilare in database le abitudini e le esigenze della cittadinanza, con cui nutrire poi algoritmi ed intelligenze artificiali che avranno il compito di calibrare e modulare le politiche da attuare. Una mostruosità che non sembra però far tintinnare campanelli d’allarme in gran parte del pubblico presente alla conferenza. Non vi sono ulteriori accenni a telecamere e sorveglianza, a control-room, a conflitti di interesse, a criticità di carattere etico e del Diritto nell’applicazione di questi dispositivi tecnologici.
- Nuovi valori e nuovi parametri. Il progetto “15 minuti”, oltre alla lotta al cambiamento climatico, si prefigge un ulteriore compito: quello di garantire la “happiness” dei cittadini del domani, un parametro tanto vago quanto ambiguo che sembra l’evoluzione dell’attuale “soddisfazione del cittadino-consumatore”, svuotato di dignità umana. Sei saranno le aree, i nuovi canoni di vita della rivoluzione antropologica prospettata: “Living, Working, Supplying, Caring, Learning, Enjoying“. Da notare, ad esempio, come educazione ed istruzione finiscano dentro a “Learning”, mentre il Servizio Sanitario Nazionale e la Salute in generale nel calderone del “Caring”, nel completo stravolgimento ed immiserimento storico. Un progetto di ingegneria sociale bio-politico che assume i tratti della zootecnia, la scienza che definirà il perimetro e le regole della stalla dove l’uomo-bove, accompagnato nell’espletamento di sei funzioni-esigenze della sua “quotidianità”, non vivrà, ma verrà allevato.
Tanto di più ci sarebbe da dire, da approfondire e poi da sviluppare, in merito e a seguito della conferenza che si è tenuta a Milano e del dibattito che sta giustamente crescendo a proposito delle smart cities e della rivoluzione ecologica urbana oggi in essere. Intanto, iniziamo ad organizzarci ad ogni livello, da quello teorico e documentale fino a quello politico, affinché questo progetto distopico, tecnocratico ed autoritario non si affermi.